Pinocchio

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Regia: Roberto Benigni
Sceneggiatura: Roberto Benigni, Vincenzo Cerami (tratto da - Le avventura di Pinocchio - di Carlo Collodi)
Genere: Commedia, Italia 2002
Durata: 1h 45'
Scenografia: Danilo Donati
Musiche: Nicola Piovani
Costumi: Danilo Donati
Produzione: Nicoletta Brashi, Elda Ferri e Gianluigi Braschi per la Melampo
Interpreti: Roberto Benigni (Pinocchio); Kim Rossi Stuart (Lucignolo); Luis Molteni (Omino di Burro); Nicoletta Braschi (La fata turchina); Carlo Giuffré (Geppetto); Franco Javarone (Mangiafoco); Corrado Pani (Giudice); Max Cavallari (Il Gatto); Bruno Arena (La Volpe); Peppe Barra (Grillo Parlante); Mino Bellei (Medoro); Alessandro Bergonzoni (Il direttore del circo)
Fotografia: Dante Spinotti
Montaggio: Simona Paggi
Suono in presa diretta: Tullio Morganti
Supervisione effetti visivi: Rob Hodgson


Trama

E’ notte. Una carrozza d’argento trainata da topolini bianchi attraversa un paese. A bordo ci sono la Fata dai Capelli Turchini (Nicoletta Braschi) e il suo cane-maggiordomo Medoro (Mino Bellei). Il mattino seguente nello stesso paese, uno strano ciocco di legno cade da un carretto, semina lo scompiglio generale e arriva sino alla porta del falegname Geppetto (Carlo Giuffrè). Da quel pezzo di legno, il pover’uomo intaglia un burattino che inaspettatamente comincia a muoversi e a parlare. Geppetto decide di chiamarlo Pinocchio, di vestirlo di carta fiorita, di regalargli un cappellino di mollica di pane e di farne il proprio “figliuolo”.

Ma il burattino ha un’energia e una voglia di vita fuori dall’ordinario e dopo aver messo a soqquadro il paese viene arrestato dai carabinieri. Il giorno dopo, Geppetto vende la propria giacca per comprare un abbecedario al figlio e lo manda a scuola. Lui però non ha tanta voglia di studiare e preferisce andare a vedere uno spettacolo di burattini. Qui, il burattinaio Mangiafoco (Franco Javarone) invece di mangiarselo, impietosito dalla sua storia, gli regala cinque zecchini d’oro. L’inizio della fine, perché Il Gatto (Max Cavallari) e La Volpe (Bruno Arena), attirati dal denaro, gli promettono di farlo diventare un burattino ricco. Con loro si reca all’Osteria del Gambero Rosso, dove i due si rimpinzano a volontà. Quindi, scappati furtivamente, lo assalgono poco dopo travestiti da assassini. Il burattino viene impiccato ad una grande quercia.

A salvarlo interviene la Fata Turchina (Nicoletta Braschi) dinanzi alla quale il naso di Pinocchio si allunga a dismisura, sempre più ad ogni bugia raccontata. Ma la Fata è buona e, ritrovate le monete che aveva nascosto, Pinocchio può tornarsene a casa dal suo “babbo”.

Ancora una volta però incappa nel Gatto e nella Volpe e su loro consiglio seppellisce le sue monete in un fantomatico Campo dei Miracoli affinché ne cresca un albero. Ovviamente il burattino perde il suo denaro e al Tribunale di Acchiappa-citrulli viene arrestato per essersi fatto imbrogliare. In prigione incontra Lucignolo (Kim Rossi Stuart), un ragazzino libero e rivoluzionario che diventa il suo migliore amico.

Liberato, Pinocchio s’imbatte nella lapide della Fata Turchina, morta di dolore proprio per lui. Disperato, attira l’attenzione di una colomba bianca che lo conduce con sé sino al mare dove Geppetto sta annegando. Nel mare si getta per impeto anche lui, quindi raggiunto un paese vicino ritrova la Fata. Pinocchio comincia ad andare a scuola ma coinvolto in una lite tra compagni di scuola viene nuovamente arrestato.

Il burattino riesce a scappare di nuovo, ma poi, impigliatosi in una tagliola, viene acciuffato da un contadino. La stessa notte, dalla cuccia di Melampo, il cane appena morto del contadino, il burattino sente dei rumori e scopre Lucignolo intento a derubare il suo nuovo padrone. L’amico lo libera e la Fata lo perdona ancora. Ma Pinocchio non ha ancora capito la lezione, e con l’amico del cuore si reca nel magico Paese dei Balocchi, una trappola per trasformare i bimbi in ciuchini e rivenderli al miglior offerente. E il burattino finisce nelle grinfie di un inquietante Direttore di Circo (Alessandro Bergonzoni) che lo sfrutta sino a quando può, poi lo getta in mare.

Pinocchio viene ingoiato da un pescecane che, destino vuole, aveva già mangiato anche Geppetto. Padre e figlio si ritrovano nel suo ventre ed insieme riescono a fuggire. Questa volta, deciso ad aiutare il padre ammalato va a lavorare. Il burattino si è finalmente guadagnato il premio di diventare bambino, la Fata ha visto e gli ha perdonato ogni cosa. Nel finale, Pinocchio bambino buono guarda per un attimo con nostalgia il burattino che era. Se ne va a scuola, ma la sua ombra con il cappellino di mollica di pane non entra e si lancia in un’altra irrefrenabile corsa alla ricerca della felicità.


a cura di Cristina Borsatti
per Tuttobenigni.it


"Le avventure di Pinocchio" da leggere (.html)
"Le avventure di Pinocchio" da leggere (.doc)
"Le avventure di Pinocchio" da ascoltare


Note di produzione

Nicoletta Braschi con la Melampo Cinematografica, società sua e di Roberto Benigni, ha interamente prodotto “Pinocchio”. Con la collaborazione dei produttori Elda Ferri e Gianluigi Braschi e di Mario Cotone (produttore esecutivo), la Melampo Cinematografica ha reinvestito la credibilità ottenuta con “La vita è bella” nel nuovo film, affrontando un impegno di due anni prima dell’uscita della pellicola nei cinema.

Per la distribuzione del film in Italia, Melampo si avvale della collaborazione, sin dall’inizio del progetto, di Mario e Vittorio Cecchi Gori, al quale si è aggiunta successivamente la Medusa Film. La distribuzione nel resto del mondo è, come per “La vita è bella”, a cura di Miramax Films.

Nel corso degli anni, Melampo ha allargato la sua prospettiva e, sin dalla “Vita è bella”, cura l’edizione musicale delle colonne sonore dei film prodotti, attraverso un’altra società, la Tentacoli.

Quando Melampo ha deciso di cominciare a lavorare sul progetto di “Pinocchio”, si è posto immediatamente il problema di dove realizzare un film così articolato. Nell’autunno del 2000, l’ex stabilimento chimico di Papigno (già set ideale della “Vita è bella”) era però ancora dismesso e risultava chiaro che la sua ristrutturazione avrebbe richiesto molto lavoro. Papigno rappresentava una location ideale, sia per la dimensione dei capannoni, in grado di ospitare perfettamente le scenografie, che per gli ampi spazi a disposizione di tutti i diversi reparti impegnati nella lavorazione, senza dimenticare le risorse e la disponibilità dell’area circostante. All’inizio di novembre del 2000 sono quindi cominciati i lavori di trasformazione dei capannoni per renderli agibili come teatri di posa. Per otto mesi (sino all’inizio del film – 25 giugno 2001) sono stati allestiti i teatri e costruite le scenografie.

Inizialmente il progetto riguardava due capannoni. Strada facendo però, considerando anche la necessità di girare una parte del film in acqua, la produzione ha deciso di ristrutturare anche un terzo capannone per allestirvi una piscina. In essa sono state girate le scene di Pinocchio in mare. Le dimensione dei due tetri principali sono di 80x 28x12, mentre il teatro 3 è diviso in due aree: quella della vasca con blue screen, e l’area adibita a green screen per realizzarvi gli effetti speciali.

Roberto Benigni, Nicoletta Braschi e Mario Cotone hanno deciso di non abbandonare Papigno e, attraverso la società Spitfire, hanno ottenuto la gestione dei teatri del Comune di Terni, offrendo così ad altre produzioni la possibilità di sfruttare i teatri stessi, che non hanno nulla da invidiare ai grandi studi americani.

22 delle 28 settimane delle riprese di “Pinocchio” si sono svolte all’interno di questi teatri di posa. Le restanti in esterno, nella tenuta di Castelfanfi vicino a San Gimignano, a Manziana in provincia di Viterbo, e a Furbana nel litorale laziale vicino a Ladispoli.


a cura di Cristina Borsatti
per Tuttobenigni.it


Altro

PERCHE’ PINOCCHIO? Numerosissime sono le versioni televisive e cinematografiche finora tratte dal capolavoro di Carlo Collodi “Le avventure di Pinocchio”. Tutto questo, però, non ha dissuaso Roberto Benigni dall’affrontare il progetto più ambizioso della sua carriera. Già Federico Fellini vedeva in Roberto Benigni un probabile Pinocchio. Lui che chiamava Roberto “Pinocchietto!” già ai tempi della “Voce della luna”, e che ne aveva individuato per primo le analogie. Il Pinocchio di Benigni non è un film felliniano, ma il testo si sarebbe perfettamente prestato a diventarlo se Fellini non fosse prematuramente scomparso. Cerami all’epoca stava già lavorando ad una sceneggiatura per lui e il comico toscano avrebbe interpretato allora il burattino. “Pinocchio” rappresenta quindi per Benigni il coronamento di un sogno antico, di qualcosa che il comico toscano ha sempre sentito dentro di sé. Per la prima volta Benigni si è cimentato in un personaggio non nato dalla sua fantasia, un aspetto che ha richiesto uno sforzo particolare, sia a livello di interpretazione che di regia. Tant’è che, come ha spiegato il regista-attore “è stato un film veramente disobbediente. Non c’era verso di educarlo. Proprio come Pinocchio. E come Pinocchio aveva un cuore grande grande, l’unica cosa che si poteva fare era seguirlo dove voleva lui e volergli tanto bene”.

PER LA PRIMA VOLTA GLI EFFETTI SPECIALI. Per la prima volta, Roberto Benigni si è confrontato con la necessità di lavorare costantemente con gli effetti speciali. Per desiderio del regista, il curatore delle tecnologie digitali Rob Hodgson ha commistionato realtà ed elementi teatrali alle creazioni digitali con un risultato iperrealistico “In sostanza - ha affermato Hodgson - Roberto voleva un film fatto di effetti speciali, senza però sembrare un film di effetti speciali”.
IL TRONCO. Costruito digitalmente, svolge un ruolo decisivo nello stabilire il tono umoristico di tutto il film. Sembra reale e ha richiesto un lavoro molto articolato. “Bisognava dare movimento ma allo steso tempo grazie e non frenesia” (R. Hodgson).
IL NASO. Per ricostruire digitalmente il naso, spiega Hodgson, “è stato necessario fare inizialmente dei test con dei nasi finti di venticinque centimetri, cinquanta centimetri, un metro e due metri, per poter capire il massimo della lunghezza prima di realizzare le riprese. Sapevamo comunque che era necessario ricostruirlo al computer perché era impossibile lavorare con un naso di quelle dimensioni”.
IL GRILLO PARLANTE/MANGIAFOCO. Entrambi i personaggi hanno sullo schermo dimensioni diverse da quelle dei protagonisti con cui interagiscono ed è stato necessario girare molte inquadrature con gli attori singolarmente per poi ricostruire al computer le interazioni. Grazie anche all’ausilio del green screen come fondale.
IL PESCECANE. La scena in cui Pinocchio finisce inghiottito dal pescecane è stata interamente ricostruita al computer in animazione tridimensionale. Ma durante le riprese sono stati utilizzati anche dei modelli, “degli squali in miniatura - racconta Hodgson - per poter studiare meglio l’interazione dell’animale con l’acqua e il movimento dei denti”.
LA COLOMBA. Inizialmente è stata utilizzata una colomba realizzata al computer per effettuare dei test, per cercare di capire come muovere tutte le piume e rendere armonica la futura ricostruzione.


a cura di Cristina Borsatti
per Tuttobenigni.it



INTERVISTA INEDITA A VINCENZO CERAMI
di Cristina Borsati concessa in esclusiva a Tuttobenigni.it



Romanziere, sceneggiatore, giornalista e insegnante. Un narratore. Vincenzo Cerami, legato alla vita artistica di Roberto Benigni dal "Piccolo diavolo" in poi ci racconta il suo legame con il comico toscano. Oltre dieci anni di successi sino allo sbarco al cinema di Pinocchio. Ma ora Cerami non e' solo impegnato sul fronte cinematografico: e' da poco uscito il suo nuovo romanzo che s'intitola "Pensieri cosi'" e sta gia' lavorando su un altro racconto.

Vincenzo Cerami incontra artisticamente Roberto Benigni nel 1988 per la sceneggiatura del "Piccolo Diavolo", e da li' in avanti, film dopo film, contribuisce al successo internazionale dei film dell'attore. Ci puo' parlare di questo incontro?
"Il nostro e' stato un incontro fortunato, tra un uomo di spettacolo e un uomo di lettere. Un incontro tra linguaggi diversi che hanno delle regole diverse. Non abbiamo fatto altro che coniugare questi linguaggi. Ma ho sempre pensato all'arte come a qualcosa di trasversale."
La comicita' di Benigni e' mutata negli anni, per certi versi si e' universalizzata. E' d'accordo?
"Il problema e' che la comicita' rischia spesso di farsi forte dell'intertestualita'. Ti faccio un esempio. Se oggi in Italia un comico parla di Bossi tutti ridono. Ma fra cinque anni? E in altro paese?. Percio' ho cercato di far abbandonare a Benigni ogni riferimento intertestuale. Ho cercato di trovare la purezza dell'attore e del comico. Gli ho tirato fuori gli aspetti piu' metafisici e non giocati sulla psicologia. Il comico ha delle leggi: i suoi bisogni devono essere quelli fondamentali e non deve avere psicologia. Il discorso cambia nella seconda parte della "Vita e' bella", dove Guido adotta invece una strategia, ha un preciso obiettivo, deve salvare suo figlio. Ma li' si ride ugualmente di una comicita' di situazione, come nel caso della traduzione dal tedesco. E poi risulta comico perche' l'abbiamo gia' incontrato in precedenza. Nella prima parte del film lui e' una maschera. Per Pinocchio il discorso e' piu' complesso.
Li' Benigni offre una grande prova attoriale, interpreta, s'immedesima letteralmente nel personaggio. Ma Pinocchio e' di per se' una maschera senza psicologia. Basti pensare che e' di legno."

Siamo curiosi di sapere come nascono le vostre sceneggiature.
"Ogni sceneggiatura ha avuto una sua storia particolare. Ognuna e' nata in modo diverso. A volte c'e' un'idea di partenza, una scintilla che puo' venire da me o da Roberto. Poi ci dormiamo sopra un giorno, o delle settimane. Siamo dei pigri e dormire ci piace. Da quell'idea di partenza ognuno di noi ricava delle suggestioni. Non c'e' ancora la storia ma e' la parte piu' magica e talentuosa. Non ci sono tecniche per farsi venire delle idee. Diverso il discorso di Pinocchio dove avevamo per la prima volta un testo di partenza. Da un'idea si arriva ad un'altra idea. Divaghiamo, parliamo d'altro ma la materia si arricchisce di elementi nuovi, trasversali e lontani, che inevitabilmente hanno un legame con l'idea di partenza, altrimenti non ci sarebbero venuti in mente".
Ma a questo punto chi di voi mette su carta queste idee?
"Sono per lo piu' io che a quel punto costruisco il nucleo narrativo. Insieme facciamo una scaletta seguendola punto per punto. Benigni ci mette il corpo e la voce, io faccio tutti gli altri personaggi. Roberto ha un universo lessicale e gestuale incredibilmente ricco e particolare. E' difficile da imitare. A volte ci provo. E' una fase molto divertente e buffa agli occhi di chi ci guarda. Da li' costruiamo le scene e naturalmente i dialoghi".
Le vostre sceneggiature sono dei perfetti congegni ad orologeria, e per certi versi mi sembrano piu' vicine a quelle americane che a quelle che abitualmente si fanno in Italia. Di fatto, sono delle sceneggiature, come le chiamano gli americani, "di ferro"?
"Sono sceneggiatura di ferro perche' una volta definite vengono rispettate al millimetro. La griglia narrativa e' si' agile e leggera per permettere a Roberto di muoversi, ma ogni scena e' fondamentale in funzione narrativa".
Le capita, insegnando, di far ricorso ai manuali di sceneggiatura scritti dai teorici americani, Syd Field o Vogler solo per fare dei nomi?
"In realta' il meno possibile. Gli americani hanno una visione della sceneggiatura che l'assimila ai Format. Le loro sceneggiature sono funzionali ma la loro precisione mi fa un po' sorridere. Sembrano un po' tutte uguali a se stesse, cambiano solo i personaggi. Io insegno scrittura creativa non cinematografica, ma se lo dovessi fare non lo farei attraverso un formulario. Insegnare a scrivere non si puo'. Nel cinema come nella narrativa si puo' insegnare a leggere, un film o un testo. S'impara cosi' dagli errori degli altri.
Quello che si puo' insegnare sono le leggi della narrazione cinematografica."

Veniamo a Pinocchio. Anche lei, come Benigni, e' legato al romanzo di Collodi. Non e' vero?
"Proprio cosi'. Sia io sia Roberto siamo molto legati al suo libro. Di Roberto si sa, per molte ragioni questo testo gli si incolla addosso. Io in piu' occasioni ho scritto su Pinocchio in tempi insospettabili. Per me e' un testo formativo, fondamentale. Il tema di Pinocchio si trova in tutti i miei romanzi. Sto parlando dell'eterno conflitto tra principio di piacere, per citare Freud, e principio di realta'. Del contrasto tra l'energia creativa e la cultura piccolo borghese capace di castrarla. Credo che Pinocchio venga subito prima delle metamorfosi di Kafka. Ne sono una naturale continuazione".
Come vi e' venuta l'idea di sceneggiarlo e quali difficolta' avete incontrato nella trasposizione del romanzo in questione al film?
"Roberto aveva questo desiderio istintuale. Ma il romanzo di Collodi e' enigmatico e inafferrabile. Ci sono personaggi contraddittori, la fata prima e' bambina poi donna. Bisognava farne una sintesi e mettere in luce il discorso segreto di Collodi. Anche la genesi del libro e' particolare. Collodi nel primo episodio faceva morire Pinocchio impiccandolo ad un albero. Poi si e' trovato a passare dal racconto al romanzo, quindi a riscriverlo perche' puoi odiare il protagonista di un racconto, quello di un romanzo no. E' cosi' che se n'e' affezionato ma ha continuato a difendere l'assunto pedagogico presente nel racconto. Collodi lo giustifica solo perche' lo ama ma in lui il conflitto e' forte. Sempre quello, tra piacere e realta'.
Nel burattino esiste solo il primo, uno stato di grazia senza dolore (Pinocchio viene accoltellato ma non sente nulla) e senza il senso della morte (alla fata piuttosto che prendere la medicina dira': "Preferisco morire che bevere questa medicina)".

Mi pare che l'originale sia stato in piu' punti tradito, ma non nello spirito E' d'accordo?
"Ha centrato la questione. Molti hanno parlato di fedelta' eccessiva al testo di Collodi. Ma basta leggere il libro per rendersi conto che di fedelta' ce n'e' ben poca. Meta' delle scene sono inventate, meta' spostate. Cio' che non abbiamo voluto cambiare e' proprio l'attualita' dello spirito del libro".
Vedendo il film, ho amato l'ombra di Pinocchio nel finale. Ci lascia sperare, ci aiuta a credere che anche un adulto possa rimanere dentro di se', da qualche parte, un po' fanciullino. Quale altro ruolo svolge nella narrazione?
"L'ombra giustifica la bugia che Pinocchio bambino dice nel finale, quando afferma "come ero buffo quand'ero burattino. Come ora son contento d'esser diventato un bambino vero". La dice perche' in lui c'e' ancora una parte di quel burattino, l'ombra appunto".
E poi, in linea con i vostri film precedenti, e' l'ennesimo esempio di sdoppiamento. Ma che cos'e' il doppio per Cerami?
"Credo che il doppio, lo sdoppiamento non sia solo una figura comica ricorrente. Ma e' anche un problema di vitalita'. Ne e' responsabile il desiderio di vitalita'. Nelle Metamoforfosi, il protagonista ha perso la sua voglia di vivere, percio' si trasforma".
Si parla spesso dei maestri di regia o di comicita' di Benigni. Ma i suoi quali sono?
"I miei maestri sono piu' letterari. Mi piace pensare al racconto come qualcosa di trasversale. Tra quelli cinematografici, Billy Wilder, un maestro d'intelligenza, di cattiveria e di cinema; ma anche Hitchcock. In lui non si vede neppure dove ha messo la macchina da presa. Entrambi credevano nel valore della storia e della sceneggiatura. Due maestri del raccontare. Hitchcock parlava dei tre segreti di un buon film. Per lui erano: la sceneggiatura, la sceneggiatura e la sceneggiatura.
Ho imparato dai miei errori e lavorando con artisti a cui ogni volta ho rubato alcune cose. Prima di tutto dal mio maestro Pasolini, quindi da Monicelli, Citti, Amelio con cui abbiamo fatto tre film e Bellocchio."

E Federico Fellini?
"Con Fellini ho collaborato proprio poco prima che morisse. Stavamo pensando a due progetti: un Pinocchio, che sarebbe stato molto diverso da questo, e una moderna versione dell'Inferno di Dante. La storia di alcuni produttori americani che vengono in Italia per proporre a Fellini una trasposizione cinematografica dell'Inferno di Dante."
Torniamo a Pinocchio. A caldo, la critica ha imputato al film di non essere comico. Ma forse questa volta non era il vostro primario obiettivo. Che ne pensa?
"La critica non ha riso, ma bisognera' aspettare il parere del pubblico. Devo fare una premessa. La critica non ride mai perche' deve giudicare. E' impegnata in quello. E' sempre andata cosi'. Alle anteprime per la stampa o per gli esercenti non volava una mosca e non rideva mai nessuno. Per quella del "Piccolo diavolo", Mario Cecchi Gori dopo aver visto il film e il trailer non appena si sono accese le luci ha detto "il trailer l'e' bellino!". Nessuno aveva riso. Ma in fondo i proiezionisti se la ridevano. E poi non si deve far necessariamente ridere. Anche Chaplin in "Monsieur Verdoux" non fa ridere. La risata non e' necessariamente una qualita'. E' fondamentale solo quando il film e' un film comico. Ormai ci si aspetta questo da Roberto, ma lui e' prima di tutto un grande attore."
Quali sono i suoi prossimi progetti. Forse e' un po' presto ma ha gia' ricominciato a scrivere?
"Sul fronte cinematografico non ho ancora progetti precisi. Chissa', con Roberto abbiamo gia' fatto tanti film assieme. E' il regista con cui sin d'ora ho lavorato di piu'. Per quello che riguarda la narrativa, e' da poco uscito un mio nuovo romanzo che s'intitola "Pensieri cosi'".
Ora sto lavorando su un racconto un po' lungo per la Donzelli che tratta del mito della "Bella e la Bestia."


CRISTINA BORSATTI - 11 ottobre 2002

Brani di questa intervista sono presenti all'interno di "C. Borsatti, Roberto Benigni, Milano, Castoro Editore, 2002", che uscira' in libreria in una versione aggiornata (Pinocchio incluso) a meta' novembre 2002.

Editrice il Castoro


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